Lei non era un’astronauta… ma senza di lei, l’uomo non avrebbe mai messo piede sulla Luna.
Quando pensiamo allo sbarco sulla Luna, le immagini che ci vengono in mente sono quelle di Neil Armstrong che muove il suo primo passo sul suolo lunare. Ma dietro quel momento storico c’era il lavoro di moltissime persone rimaste nell’ombra — tra cui una donna che ha scritto una parte fondamentale di quella storia: Margaret Hamilton.
Una pioniera dell’ingegneria del software
Matematica di formazione, Margaret Hamilton è stata una pioniera dell’informatica e la prima persona a utilizzare il termine “software engineering”, rivendicandone la dignità scientifica in un’epoca in cui il software era considerato un’attività secondaria, rispetto all’hardware.
La sua visione trasformò radicalmente il settore: introdusse un approccio rigoroso, sistematico e verificabile allo sviluppo del codice, creando le basi di quella che oggi chiamiamo cultura dell’ingegneria del software.
Gli inizi e l’ingresso al MIT
Nata nel 1936, Margaret si laureò in matematica e iniziò la sua carriera come insegnante. Tutto cambiò nel 1961, quando entrò a lavorare al MIT Instrumentation Laboratory, dove iniziò a sviluppare software per le previsioni meteorologiche. Nessuno poteva immaginare che, da lì a pochi anni, avrebbe scritto il codice che avrebbe guidato i moduli lunari del programma Apollo verso la Luna.
Il cuore tecnologico del programma Apollo
Quando la NASA affidò al MIT la realizzazione del software per le missioni Apollo, Margaret Hamilton fu posta a capo del team di sviluppo. Non solo era responsabile del sistema di navigazione e controllo del modulo lunare, ma contribuì a definire nuovi standard per la programmazione in ambito critico.
Il software sviluppato per i computer di bordo era rivoluzionario per l’epoca: gestiva la prioritizzazione dei processi, la tolleranza agli errori, la gestione automatica delle eccezioni e la resilienza in condizioni impreviste.
In pratica, il codice di Margaret non solo doveva funzionare: doveva resistere all’imprevisto, adattarsi in tempo reale e non fallire mai.
Apollo 11: il codice che salvò la missione
Il contributo di Hamilton fu cruciale durante l’allunaggio dell’Apollo 11 nel 1969. Mentre il modulo lunare stava per toccare il suolo, il computer di bordo si sovraccaricò di dati non essenziali, generando segnali d’allarme che rischiavano di far abortire la missione.
In quel momento critico, fu proprio il software scritto dal team di Hamilton a garantire la riuscita dell’operazione: scartò in automatico i processi non prioritari e salvaguardò quelli vitali, permettendo ad Armstrong e compagni di completare l’atterraggio.
In un contesto dove il minimo errore poteva essere fatale, la precisione e l’affidabilità del suo codice fecero la differenza.
Un’eredità che ha cambiato l’industria
Hamilton non ha semplicemente scritto del buon codice: ha ridefinito cosa significa sviluppare software mission-critical. Il suo approccio metodologico — fatto di rigore, test, documentazione e gestione del rischio — è diventato lo standard adottato oggi in settori complessi come l’aerospaziale, la sanità, la finanza e la difesa.
Ha dimostrato che senza un software robusto, nemmeno il miglior hardware può funzionare. Il suo lavoro ha gettato le fondamenta per tecnologie che usiamo oggi ogni giorno: dai sistemi di guida autonoma all’intelligenza artificiale, dai sistemi embedded a quelli in tempo reale.
Riconoscimenti e cultura pop
Il contributo di Margaret Hamilton è stato riconosciuto nel tempo da istituzioni e cultura popolare. Ha ricevuto la NASA Exceptional Space Act Award e, nel 2016, la Medaglia Presidenziale della Libertà — la più alta onorificenza civile negli Stati Uniti.
È anche raffigurata nel set LEGO “Women of NASA”, dedicato alle figure femminili che hanno fatto la storia dell’esplorazione spaziale.
Un esempio che continua a ispirare
Margaret Hamilton non solo ha salvato una missione: ha definito una disciplina. È diventata un punto di riferimento per migliaia di donne che, grazie anche alla sua storia, si sono avvicinate alla tecnologia e all’informatica.
In un mondo sempre più governato da software e sistemi complessi, il suo lavoro è più attuale che mai.
La sua figura incarna la precisione, la responsabilità e la visione richieste dal lavoro tecnico nei contesti più estremi.
Una storia da non dimenticare
Ricorda il suo nome.
Perché la storia dello spazio è anche una storia al femminile.
E se il suo racconto ti ha colpito quanto ha colpito noi, continua a seguirci: ci sono ancora tante storie di donne straordinarie da raccontare.
Contenuti realizzati grazie alla collaborazione con il Corso di Storia delle Tecnologie Digitali – Università di Torino. Si ringraziano le allieve Ilenia Bongiovanni, Elisa Ferragatta e Alessandra Ferrari, che hanno curato ricerca e scrittura.

